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Il trasloco

Tra le stanghe a volte un animale altre volte no

Agosto 1947.

Si fermò solo un momento, proprio davanti al portone come per imprimersi nella memoria quel posto, che fino ad allora era stato tutto il suo mondo. Via Castelfidardo nr 8, prima scala sinistra, sottotetto con abbaino al quinto piano. Un piccolo mondo, piccolo ed anche un mondo al femminile perché tutti i compagni di gioco erano bambine, maschietti della sua età non ce ne erano. Si avvicinò al Naviglio che scorreva come sempre tranquillo, osservò l’acqua scura che spariva sotto via San Marco, guardò la chiusa che regolava lo scorrere dell’acqua e in lontananza il Ponte delle Gabelle. Per un bambino di sette anni da compiere in quei giorni, la parola trasloco era una parola sconosciuta, trasloco che significato aveva? Erano giorni che se ne parlava, cosa portare, cosa lasciare, i carretti che arriveranno in prestito, quale percorso fare.  Quel giorno era arrivato ed i due carretti a mano erano lì sin dal mattino presto, quei carretti con un piano di carico e due stanghe che di solito erano trainati da un asino o da un mulo o da un bue animali destinati alla fatica. Oggi no, oggi tra le stanghe ci sarebbero stati due uomini, uno lo avrebbe trainato il padre e l’altro lo zio Pino, fino alla nuova casa in zona San Siro. Agosto 1947 sui carretti si stavano ammassando tutte le loro cose, tutte quelle cose che erano state fatte scendere dal quinto piano pezzo per pezzo, il letto grande, un lettino, due piccole credenze, scatoloni con piatti, bicchieri, posate, involti con lenzuola, abiti, scarpe, zoccoli, un ombrello nero, ed il suo unico giocattolo una palla variamente colorata. Quando tutto fu sistemato si avviarono, il padre tra le stanghe del primo carretto, lo zio lo seguiva con il secondo e la mamma chiudeva la fila con una borsa contenente quello che avrebbero mangiato quel giorno e con la mano nella mano del fratello piccolo, Piero . La carovana si mosse ed il bambino si guardò dietro e si accorse che Lidia una delle sue compagne di giochi lo stava osservando ma non aveva il solito sorriso ma uno sguardo malinconico. Lui agitò una mano in segno di saluto ma non ebbe risposta, lei rientrò nel portone e scomparve alla sua vista. Allora ripensò alle giornate passate con quelle sue compagne di giochi, tutte bambine sue coetanee, si era adattato, si era abituato a loro, a Lidia, ad Agnese, a Lucia, a Maria ed a quella bimbetta dal nome impronunciabile, quella bambina che abitava al terzo piano e che aveva una sorella grande che si vedeva pochissimo e sulla targa di ottone della porta c’era scritto HAAN. Lidia rientrò e lui ci rimase male e qualche cosa gli si ruppe dentro e inconsciamente capì che forse non la avrebbe più rivista. Tirò su con il naso e si mosse perché sollecitato dai suoi. La piccola carovana si mosse, attraversarono via San Marco, entrarono in via Solferino, lasciandosi alle spalle il negozio Radio Magaja, via della Moscova, l’Arena, via Melzi d’Eril, superarono la zona Fiera, piazzale Lotto, via Gavirate ed infine arrivarono in viale Aretusa davanti al cancello con il numero 6.  Non aveva mai visto così tanti prati, lunghi, enormi con tutta quell’erba e le pecore, il pastore due cani, un asinello. Entrarono in un cortile lunghissimo con tante scale e delle macerie accatastate lungo tutto il cortile. Arrivarono alla scala “G” dopo c’era solo la scala “H” l’ultima di quell’immenso cortile. Noi siamo al secondo piano appartamento 84 c’è già il nome sulla porta esclamò il padre con orgoglio. Al secondo piano abitavano già due famiglie, i signori Filon ed i signori Marchini che li accolsero sul pianerottolo con uno spontaneo saluto di benvenuto.  Entrarono in casa e lui si guardò attorno, meravigliato da tutta quella luce che entrava, vide una porta finestra ed andò sul balcone da cui si poteva vedere il cortile e la casa di fronte, le persone affacciate, persone che parlavano tra loro, ma che differenza con via Castelfidardo, la alle finestre non ci si arrivava nemmeno, erano abbaini e si poteva vedere solo un pezzetto di cielo. Per un momento dimenticò tutto, la stanchezza del viaggio, i piedi dolenti, dimenticò le compagne di gioco, guardò in alto e vide il sole che irraggiava la sua forza come per dirgli “Sei arrivato” e per un momento dimenticò tutto, dimenticò che aveva fame, che aveva sete, capì solo che era arrivato in un altro posto, anche se non capì che quel giorno iniziava qualche cosa di completamente nuovo. Guardò la madre indaffarata in cucina, il fratello che frignava, il padre che trasportava le ultime cose, o zio esausto seduto su una sedia, mise la palla in un angolo andò al balcone guardò in cortile dove due bambini come lui si rincorrevano e per un momento pensò   anche di scendere e raggiungerli, conoscerli giocare con loro. Poi la madre chiamò tutti per il pranzo e si sedettero attorno al tavolo appena arrivato. Domani conoscerà quei bambini dopotutto domani è domenica ed è ancora vacanza.

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